Non tutti sono d’accordo che uno Stato d’Israele gestito da ebrei abbia diritto di esistere, ma tutti sono d’accordo che gli israeliani ebrei hanno diritto di esistere.
Non tutti sono d’accordo che uno Stato palestinese gestito da arabi abbia diritto di esistere, ma tutti sono d’accordo che i palestinesi arabi hanno diritto di esistere.
La base del diritto degli Stati è il diritto di vivere dei loro popoli, e la base del diritto dei popoli è il diritto di vivere degli individui.
Si parla molto dei diritti degli stati e dei popoli, ma poi il discorso finisce inevitabilmente su uomini, donne e bambini innocenti che muoiono.
Sembrerebbe che siamo di fronte ad un problema invertito.
Dopo la prima guerra mondiale, ci fu il diritto di ebrei di tornare ad abitare in Palestina.
Il che, ovviamente, parve giusto.
Dopo la seconda guerra mondiale si parlò di popolo ebraico in Palestina, il che è oggettivamente un’altra cosa.
Poi venne il concetto di Stato ebraico, che è ancora un’altra cosa.
In altri termini, il problema palestinese non è nato con l’immigrazione ebraica, ma con l’eccesso e la strumentalizzazione di tale immigrazione.
E col suo attuale significato geopolitico, finanziario e militare.
Gli individui –ebrei ed arabi- si sono trovati in mezzo a questo processo politico contemporaneo.
È questo processo che crea problemi, poiché espropria gli individui dal loro diritto di provare a vivere in pace tra loro e di risolvere i loro conflitti in chiave interpersonale.
Il problema non consiste nella diversità dei popoli o delle religioni.
Riescono a benissimo a scannarsi tra loro anche popoli uguali e di uguale religione (come attualmente succede in Ucraina).
Come anche riescono le persone a vivere bene e d’accordo in una nazione (o in un condominio) multietnico e multireligioso. In Sicilia proviamo a farlo da millenni.
Ci sono stati in passato, ed ancora adesso ci sono, dei kibbutz ebraico-palestinesi.
Questo è un buon prototipo di risposta –dal basso- alla eterna follia delle guerre di contrapposizione.
Piccole aziende agricole autosufficienti che si oppongono alla militarizzazione e al terrorismo.
Le religioni, in tutto questo non c’entrano.
Il rapporto con Dio è individuale.
Il popolo di Dio sono quelli che vivono la pace anche in mezzo ai conflitti.
Questo è il messaggio che non mettiamo al centro della politica e pertanto non riusciamo ancora a far passare con chiarezza di generazione in generazione.
Fra cent’anni nessuno –assolutamente nessuno- di quei 7 miliardi di individui che sono qui ci sarà più.
Ma se non riusciamo a fare passare meglio il messaggio, scommetto che fra cent’anni continuerà la stessa solfa.
Non solo in Palestina.
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