di Ciro D'Arpa
Dagli anni duemila si sta assistendo ad una drastica diminuzione del numero delle api.
Il fenomeno si chiama “sindrome dello spopolamento degli alveari” (SSA) (termine coniato nel 2006) ed è progressivo.
Gli ultimi dati che ci giungono dal progetto BeeNet confermano una tendenza che appare inarrestabile con dati di mortalità che variano tra il 30% e il 36% annuo.
In Italia, le regioni più colpite sono quelle del Nord, soprattutto il Veneto e il Friuli Venezia-Giulia.
L’eventuale scomparsa delle api provocherebbe un drastica diminuzione delle produzioni agricole nonché della biodiversità, con conseguente appiattimento e omologazione dell’habitat in cui viviamo.
Il motivo della morìa è il disassetto ecologico che continuiamo a provocare.
Una colpa particolare va all’eccesso degli insetticidi necessari al tipo di agricoltura imposta dalle industrie produttrici degli stessi.
A difesa degli interessi finanziari di queste industrie, la morìa di api è stata passata sotto silenzio per molti anni.
Le sostanze in questione sono soprattutto i neonicotinoidi (clothianidin, imidacloprid, thiamethoxam), insetticidi di sintesi utilizzati in agricoltura dalla metà degli anni ’90: attaccano il sistema nervoso degli impollinatori, privandoli della memoria e della capacità di orientarsi.
La Commissione Europea ha vietato l’uso all’aperto di tali pesticidi sul territorio dei Paesi membri, ma solo all’esterno, lasciandoli in commercio per le produzioni in serra. Il WWF, ha lanciato la Campagna BeeSafe per chiedere politiche più stringenti.
Ma adesso che finalmente si comincia a parlare pubblicamente della tossicità degli insetticidi viene taciuta invece la colpa ulteriore sopraggiunta dello sterminio di insetti, dovuta alla rete di frequenze elettromagnetiche dei ripetitori, che superano di decine di volte i livelli di legge.
Sorgenti di campi elettromagnetici sono: linee di trasmissione dell’energia elettrica ad alta tensione, antenne per la telefonia mobile, dispositivi wireless e ripetitori radio-televisivi.
Le varie sorgenti di campi magnetici emettono radiazioni di diversa intensità e frequenza: icavi elettrici e i dispositivi elettrici sono fonti di radiazioni elettromagnetiche a bassa frequenza (ELF-EMFs; 50 Hz) ma di elevata intensità, mentre dispositivi come smartphone, tablet, router Wi-Fi emettono radiazioni associate alle radiofrequenze a bassa intensità e alta frequenza (da 300 MHz a 300 GHz).
Il 5G utilizza bande di frequenza notevolmente superiori a quelle prima sperimentate.
L’Università di Southampton ha recentemente pubblicato una ricerca (Shepherd et al., 2018 e 2019) che dimostra come l’esposizione della comune ape da miele ai campi elettromagnetici a bassa frequenza (ELF-EMF; 50 Hertz), causi l’alterazione di suoi meccanismi fisiologici e comportamentali.
Gli autori dello studio hanno dimostrato che la presenza di campi magnetici variabili e a bassa frequenza, come quelli prodotti dalle linee elettriche dell’alta tensione, interferisce con la magnetite delle api e compromette la loro capacità di orientamento.
Queste interferenze elettromagnetiche possono ammalare anche i meccanismi di difesa delle api, che non riescono a rispondere prontamente a possibili invasori della colonia.
Normalmente, quando un’ape “guardiana” percepisce un pericolo vicino all’alveare, emette un feromone d’allarme chiamato isopentil acetato, sollevando l’addome ed estroflettendo il pungiglione per diffonderlo nell’ambiente circostante tramite le ali agitate contemporaneamente.
Questo segnale attiva le altre api che si uniscono per neutralizzare l’intruso. Tuttavia, quando le api sono esposte a campi elettromagnetici a bassa frequenza, sembrano dimenticare come reagire o addirittura non percepire il pericolo. Questo le rende vulnerabili agli attacchi esterni e compromette la sopravvivenza della colonia.
Le api sono impollinatori dell’80% delle specie da cui dipende l’alimentazione umana.
Per citarne alcune: arance, pompelmi, mandarini, kiwi, meloni, cavolfiori, pomodori, cavoli, zucche, carote, sedano.
E sono anche un indicatore di salubrità biologica che ci interessa molto da vicino: le stesse sostanze chimiche e lo stesso tipo di frequenze che uccidono le api danneggiano la nostra salute, anche con effetti epigenetici che trasmettiamo ai nostri figli.
Occorre, naturalmente (e non da ora), un aggiustamento delle nostre politiche ecologiche.
La soluzione ufficiale è limitare le emissioni di CO2 e sviluppare i programmi di One Health previsti dall’Agenda 2030 dell’ONU.
Le stesse Istituzioni che hanno permesso il problema offrono la soluzione; senza tuttavia affrontare in maniera diretta il problema della agricoltura intensiva, né quello dei ripetitori.
Una diversa possibilità è la sensibilizzazione “dal basso” degli agronomi e dei contadini per una agricoltura sostenibile, indipendente radicalmente dalle logiche finanziarie delle grandi lobbies.
È la strada dell’impegno personale.
Più difficile ancora sarà ridimensionare l’impatto elettromagnetico nel territorio, visto che le leggi sono a favore di una sua estensione.
Mangiare, abitare, vivere è anche un atto politico.
E la preoccupazione per le api serve a ricordarci la responsabilità che abbiamo anche nei confronti dei nostri figli.
Quando smetterà l’eccesso di mortalità delle api, vuol dire che anche noi avremo fatto un concreto passo avanti per la salvezza della nostra specie.
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